L. ama il lago da dopo le vacanze ("mare, mare"!) e guardare il tramonto dalla riva e' un modo molto dolce di celebrare questo ultimo calore estivo.
Quando era già passata l'ora di cena Luigi e' andato a prendere le pizze.
L. era impegnato. A inseguire cigni, tuffarsi tra sciami di moscerini, sedurre donne sconosciute, cadere da scalini di pietra. E ovviamente nella sua attività preferita: raccogliere rocce dall'acqua e rilanciarle dentro.
Ho aspettato.
Fino a quando e' tornato Luigi.
Allora ho avvertito L. Ti cambio il pannolino finche' la pizza si raffredda. Prima il pannolino, poi la pizza.
Ma lui non era d'accordo. Si e' messo a urlare, scalciare, piangere. Mi sono fermata. Ho riconosciuto i suoi sentimenti, ho aspettato un pochino. Alla fine ho provato a distrarlo con un pezzo di pizza mentre lo cambiavo. Ma non l'ha accettato. Ha continuato a contorcersi finche' Luigi non mi ha aiutato a mettergli il pannolino in un modo che era tutto tranne che rispettoso.
E poi si e' calmato. Ha mangiato la sua pizza e chiaccherato finche' la luce e l'acqua sono diventate arancioni, poi più scure, poi blu.
E li' ho realizzato - perche' gli ho cambiato il pannolino?
Ci provo. A riconoscere e validare i suoi sentimenti, ad aspettare, aspettarlo. Ma anche ad essere ferma durante i momenti di transizione, ad essere coerente nei limiti che impongo.
E queste ultime due cose sono difficili per me. Cosi difficili che a volte sono molto più dura di quanto sia necessario.
Ieri sera sono stata cieca. Accecata dalla mia idea di farlo cenare asciutto.
Avrei potuto aspettare di più.
Aspettare. La parola magica. Fare un piccolo passo indietro.
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